Intervista con Francesco Diodati

FDiodati_bChe cosa ha a che fare un chitarrista romano, moderno e d’avanguardia con i gatti e la letteratura giapponese? Ho tentato di capirlo andando a vedere un concerto di Francesco Diodati e del suo gruppo Neko, che ha pubblicato il secondo album, Need Something Strong, dopo il precedente Purple Bra, sempre per l’etichetta Auand. Confesso che non è semplice entrare nel mondo sonoro di Diodati, come non lo è entrare nella mente di un gatto (Neko in giapponese) e ho provato a chiedergli spiegazioni.
“Intanto scrivo la musica per Neko pensando esattamente a questi musicisti — Francesco Bigoni al sax tenore, Francesco Ponticelli al contrabbasso e basso elettrico ed Ermanno Baron alla batteria — alle loro attitudini e alla loro abilità. A differenza del disco, dove tutto è più strutturato e stabilito, dal vivo ci prendiamo la libertà di non decidere una scaletta rigida e nemmeno l’ordine dei soli durante i pezzi, ma, all’interno di una intelaiatura molto flessibile, nascono spontaneamente idee e sviluppi. Capisco che questo entrare e uscire dai pezzi può essere disorientante all’inizio.”
In effetti, a parte, forse, la cover dei Nirvana, Very Ape e Brilliant Corners di Monk, la sensazione è quella di assistere alla coagulazione nel tempo di decine di frammenti musicali che orbitano attorno, fino al raggiungimento di una forma più identificabile che conduce verso un lungo e, spesso, tempestoso, finale.
Cover cd Diodati - NEKO“Infatti, anche il modo in cui arriviamo al tema è sempre diverso e deriva da spunti che ci scambiamo in tempo reale e non necessariamente partono da me, ma da chiunque del gruppo. Questo sistema mantiene la freschezza del suono e ci diverte.”
Ma come sei arrivato a questa forma che hai dato al tuo jazz?
“Non ho inventato nulla di nuovo, già il quintetto di Davis con Hancock e Shorter partiva da concetti analoghi. Poi, lavorando con altri gruppi, con Marcello Allulli e Ermanno abbiamo cominciato a sperimentare queste forme: interiorizzare i temi e renderli parte di un canovaccio da sviluppare sul palco e che ci consenta di dare sfogo alla creatività e di sorprenderci ogni volta.”
Ci vuole una grande sintonia tra i musicisti per riuscire a trovarsi tutti nello stesso luogo musicale e capire dove si vuole andare.
“Senza dubbio. Il gruppo Neko è ormai insieme da cinque anni e càpita anche di trovarsi a suonare insieme in progetti paralleli, sia con Ermanno e Francesco Ponticelli, sia con Francesco Bigoni, nonostante lui abiti a Londra, ma col quale ho suonato nel gruppo di Jim Black e altrove. La cosa importante, comunque, è vivere la musica come una cosa viva, in continua evoluzione, tenere le orecchie aperte ed essere sempre pronti a cogliere il suggerimento che arriva da ognuno. In questo siamo sulla stessa onda. Si evince anche dal fatto che con Bigoni non stabiliamo sempre un’alternanza di soli in stile classico, ma c’è uno scambio di idee e suggerimenti continuo.”
Tu e Ponticelli siete piuttosto attrezzati dal punto di vista tecnologico: pedali, elettronica, loopers.
NekoDublino2“Sì, questo è uno sviluppo abbastanza recente, soprattutto per lui, che prima girava prevalentemente col contrabbasso. Ora ricerca molto suoni particolari, effetti elettronici, spunti anomali, che danno un sapore diverso al suono di Neko.”
Il futuro cosa prospetta?
“Un progetto col pianista Enrico Zanisi che sto architettando per cercare nuove forme per la chitarra acustica e poi sto lavorando a nuovi brani con i Neko.
Ma perché Neko?
“Nasce da una mia vecchia passione per Murakami Haruki, lo scrittore giapponese di cui ho letto molte cose, come Dance Dance Dance, L’Uccello Che Girava Le Viti Del Mondo, Kafka Sulla Spiaggia…”
Be’, certe pagine di Kafka Sulla Spiaggia per gli amanti dei gatti non si possono leggere.
“Ho letto anche 1Q84, ma la passione ora è un po’ scemata…”
Capisco, è colpa di quel libro un tantino assurdo.
“Sì, però il nome è rimasto, è breve, suona bene, si ricorda facilmente, ci ha portato fortuna.”
Mai stato in Giappone?
“No, ma conto di andarci prima o poi. Per ora vado in Birmania.”
A suonare?
“Sì, è un progetto tedesco che si chiama Europe Meets Myanmar, in cui sono coinvolto e dopo avere ospitato in Europa musicisti birmani, ora andiamo noi da loro a mescolare la nostra musica improvvisata con la loro.”
Il Giappone è a due passi.

Giulio Cancelliere